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San Pietro Notte

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Armando Biancardi, Torino

Un pizzico di imprevedibile. Un non so che di evocativo. Un qualcosa di casalingo e di paesano. Come le bande musicali, come i falò accesi nei giorni di vigilia sull' alto dei colli, i fuochi d' artifi sono esplosioni di gioia.

Da quassù, si vedono partire dal fondovalle - mi diranno, dalla Piazza della Fiera -, stamparsi subitanei contro le fiancate del Monte Moro, coro-nare con pennacchi e piogge la parte alta della cittadella. Nel buio della notte incipiente, si sentono gli scoppi che non sono simultanei con le cascate dei colori. Alcuni con fischi, con crepitii che infittiscono a gragnola, altri, come pesanti portoni sbattuti con violenza.

I grappoli si spappolano per aria, ricadono come sfioriture inattese, come comete, come colate metalliche di altiforni. E si lasciano sulla scia tutta una repentinamente caduca trama di sottili e bianchi filamenti.

Sanno di affollati mercati grossi e di santi patro-nali. Di partite a tarocchi, con pugni abbattuti sul tavolo traballante e di ubriachi satolli. Di « sane » partite a bocce e di ferme bocciate. Di quanto non sanno... Esagero se dico che sanno anche di alpini e di pezzi someggiati, con contorno di patatine e di « toma forta »?

I fuochi più preziosi ?: quelli verdi. Danno via libera alle capriole per aria e hanno uno scintillio vivo e freddo. I più entusiasmanti ?: quelli rossi, forse. Sembrano calde utilitarie che scendano in picchiata dalle impossibili strade del cielo, i fana- lini dei freni accesi. Ma ce ne sono pure di gialli, di azzurri, di viola. Anche solo di bianchi.

Immagino il vecchio borgo medievale sussul-tante per le detonazioni. Il lungo e ripido budello della strada centrale, le facciate delle case adora-bilmente sbilenche con i gerani ai poggioli, e i tetti a grandi « lose », illividirsi fulminei ai lampi delle verdi costellazioni. La vecchia porta turrita cor-ruscarsi sotto gli squarci degli improvvisi bagliori rossofiamma.

Michelino mi ha detto di avere assistito qui a una sola serata di fuochi d' artificio. Ma, al « ponte del diavolo ». Fra le strette e dirupate pareti di serpentini rossastri, in basso potentemente lisciati e lavorati a buche dagli spessi ghiacciai del qua-ternario, gli scoppi rintronavano assordanti. Le luci finivano per calarsi surreali sopra il lungo arcuato ponte trecentesco, estemporaneamente rianimato di vecchie leggende. Strappavano sfa-villii e riflessi dagli intaccati specchi dello stanco torrente.

Ma l' angusta gola rocciosa si era anche riem-pita di fumo e gli spettatori, raccolti su esigui spazi, starnutivano, tossicchiavano, avevano le lagrime agli occhi.

Però, chi aveva avuto quella pensata, non doveva essere lo stesso un poeta?

Io li adoprerei la sera per dire a una certa ragazza che la vita è bella - sali di bario -, che l' amore non può morire — nitrati di calcio -, che io l' amo - alluminio in polvere -.

Ma la storia è vecchia. Tutto si tollera al mondo. Tranne i sognatori.

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