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Uragano

Remarque : Cet article est disponible dans une langue uniquement. Auparavant, les bulletins annuels n'étaient pas traduits.

Di Remo Patocchi.

Durante il periodo più saliente della mia attività alpinistica nel Ticino, un' avventura, veramente non comune, mi lasciò un ricordo incancellabile e mi diede un' idea profonda della potenza dei fenomeni naturali, nell' infinito imponderabile delle alte regioni, e quanto, al cui confronto, l' uomo è ben piccola cosa.

Peregrinando sui monti dell' alta val Lavizzara, già avevo compiuto qualche interessante ascensione, quando volli perlustrare alcune vette del lato sinistro della vai di Peccia. A tale scopo scelsi come accampamento la solitaria Alpigia e vi giunsi una sera sull' imbrunire, con un tempo bellissimo e che tale prometteva di rimanere per qualche giorno.

Le facili ascensioni del Mascarpino, del Piatto di Rodi, Pizzo di Rodi e quella più scabrosa della Forna di Matorello, le compli senza inconvenienti di sorta e già stavo per lasciare quella conca; deliziosa, quando mi punse il desiderio di completare la mia « randonnée » con una piccola traversata della cresta, che congiunge la bocchetta di Matorello col Pizzo della Valletta; qui mi accadde la poco piacevole avventura che mi accingo a raccontare.

Ero partito al mattino dall' alpe con un cielo striato di snelle nubi rossastre disposte a ventaglio, e la leggera brezza mattutina, sembrava portasse sulle sue ali una pallida polvere d' oro; ma, più tardi, le nubi si diradarono alquanto e potei compiere la mia gita senza preoccupazioni.

Poteva essere all' incirca la una del pomeriggio, mi trovavo sullo spartiacque a nord del Pizzo della Valletta, sboconcellando il mio pasto frugale, quando mi accorsi che il tempo andava guastandosi. La volta del cielo si era coperta di dense nuvolaglie e solo verso la Cristallina qualche raro squarcio di azzurro rompeva la grigia monotonia dell' ambiente. Dietro alla frastagliata cresta del Pizzo Malura, una nube dalla forma di un immenso cetaceo, si staccava nettamente su di un sfondo profondamente cupo.

D' un tratto l' aria si fece greve e una luce tetra si diffuse ovunque. Alcune nubi randagie incominciarono ad inghiottire le vette maggiori e in men che non si dica, si abbassarono e nascosero nelle loro folte cortine, tutta la bassa Lavizzara e la Val di Prato; altre fuggivano, veloci, sopra il mio capo.

Un colpo di vento, giunse all' improvviso accompagnato da qualche gocciolone. Il mio primo pensiero fu di battere in ritirata, e, messi alla rinfusa nel sacco i resti del mio spuntino, mi accinsi a seguire la via più breve, per raggiungere la conca sottostante, masticando nervosamente un ultimo pezzo di carne secca. Tosto però il buon senso e la logica mi dissuasero dal proseguire, poichè il tratto di cresta da percorrere, prima di trovare il punto adatto per la discesa, non era nè breve, né agevole. La nebbia fece poi quasi subito la sua comparsa e sordi brontolii lontani preannunciavano una minaccia incombente.

Andai pertanto in cerca di un posto riparato ed ebbi la fortuna di trovarlo poco sotto le roccie della cresta diruta, a ridosso di un lastrone sporgente. Mi ero appena appollaiato nel mio effimero ricovero, che la montagna venne investita da un soffio spaventoso e dagli anfratti della cresta sovrastante partirono sibili assordanti, frammisti a ululati lamentosi. Un uragano, veramente eccezionale, avanzava tetro e minaccioso con lampi e scoppi, e mi fece intravvedere il pericolo imminente della folgore. La prudenza mi spinse a togliere in fretta le mie scarpe ferrate, a calzare quelle di corda ed a portarmi velocemente una cinquantina di metri più in là, dove gettai scarpe e piccozza sotto uno spigolo roccioso.

Il vento, freddissimo, aveva raggiunto una forza infernale e colla sua terribile furia sembrava volesse squassare la montagna. Malgrado fossi lievemente sotto cresta, ne fui investito con grande violenza ed ebbi l' im che il suo gelido fiato mi penetrasse fin sotto la cute. Ritornai strisciando al mio ricovero, dove le ventate rabbiose passavano impotenti sopra il mio capo.

Per un momento sembrò che il nebbione si chiarisse, ma fu uno scherzo fugace, e, poco dopo, i bagliori si moltiplicarono e i rombi delle scariche elettriche si fecero sempre più frequenti, così pure le raffiche veementi, accompagnate dai primi chicchi di grandine, di una grossezza straordinaria. Istintivamente mi feci piccolo, piccolo, e mi ranicchiavo come un ragno che sente vicino il pericolo.

La grandine divenne più fitta e incessantemente schiaffeggiava con estrema violenza i lastroni vicini, scheggiandoli. Avevo un bel farmi piccino, essa penetrò anche nel mio riparo, portata dal vento, m' investì e mi obbligò a ficcare la mia povera testa martoriata sotto il sacco e le mani in tasca.

Improvvisamente l' oscurità si fece più intensa e, nel frastuono della tempesta, distinsi nettamente uno strano ronzìo fra le roccie sovrastanti. Mi trovavo in vero nel bel mezzo di nubi stracariche di elettricità. All' improvviso l' aria tenebrosa venne solcata da una gran luce azzurognola, accecante, segui uno schianto formidabile, che mi lasciò stordito, ed un sibilìo sgrade-vole che lacerava le orecchie. Una vibrazione, mai provata, serpeggiò in tutto il mio corpo, dal tallone alla gola, quasi paralizzante. Fu sensazione di pochi secondi, che sembrarono interminabili. La folgore era caduta, sul crestone, assai vicina al punto dove mi trovavo, impregnando per un istante l' aria di un penetrante e sgradevole lezzo di ozono.

Istintivamente mi provai a muover gambe e braccia, che tosto ubbidirono all' azione, lasciandomi però gli arti indolenziti, come fossero pesti. Non provai, in vero, sensazione di paura ed il mio spirito era di una lucidità sorprendente, ma poco dopo il senso dell' isolamento cominciò a penetrare nel mio spirito e mi afferrò per un istante tutto l' essere; con uno sforzo di volontà cacciai l' intruso, mentre sotto ai miei piedi la voragine lugubre e tetra mandava l' eco di schianti infernali. Altre scariche laceranti si susseguirono e la cresta prese un' architettura da tregenda, illuminata da luci diaboliche.

Frattanto la tempesta si fece più nutrita, tambureggiante, e le pallottole di vetro rimbalzavano alte, per poi riprendere più sotto la loro traiettoria e la loro corsa disordinata sui neri lastroni, formando, nei colatoi, piccole frane di ghiacciuoli, che precipitavano come torrentelli, di balza in balza.

Quanto tempo durò la bufera infernale?... non lo saprei dire; forse mezz' ora, forse meno.

Finalmente l' uragano accennò a diminuire la sua violenza, come se fosse ormai stanco di tanto battagliare, e non andò molto che la cavalcata bieca delle nubi si allontanasse sempre più verso le alte regioni settentrionali. Da lontano mi giungevano bensì ali' orecchio sordi rombi di tuono, ma erano gli ultimi colpi di fiato del mostro morente.

La grandine cessò ad un tratto, lasciando il posto a una acqueruggiola fine, fine e diaccia. Il vento si mise a soffiare a ritroso e le vette vicine si liberarono, a poco a poco, dal grigio scialle che le avvolgeva. Poco dopo, ricalzai i miei scarponi ed iniziai la discesa con le dovute cautele, poichè il terreno, all' infuori delle parti rocciose, era letteralmente coperto di un buon strato di grandine, che lo rendeva oltremodo sdrucciolevole.

La bella conca erbosa, divinamente fiorita, che mi aveva al mattino tanto deliziato, si presentava ora sotto un aspetto tragicamente desolante. Sopra gli ondeggianti dossi vetrati, le pareti livide erano spettrali, e la nera massicciata del Piatto di Rodi contrastava fantasticamente fra quel triste biancore.

Raggiunsi le baite dell' alpe, che trovai silenziose e deserte. Il bestiame si era tutto riunito poco lungi, cercando invano fra i tormentati rododendri qualche raro filo erboso.

Entrato nella casupola del casaro, posi sul focolare un fascio di ginestre ed accesi il fuoco, che tosto divampò schizzando allegre scientille, folleggianti nel fumo.

Asciugati alla bell' e meglio i miei indumenti, mi accingevo a partire, quando entrarono due pastorelli, magri e sparuti. Il più piccolo, tutto tremante, si accostò al fuoco ed alle mie ripetute domande, rispondeva solo con singhiozzi soffocati. L' altro, più grandicello e dallo scilinguagnolo più sciolto, disse, che erano stati sorpresi dalla tempesta, e, malgrado fossero poco lontani da un ricovero, la grandine aveva martoriato assai il loro capo scoperto; aggiunse poi che il veccio casaro, coi mandriani, era partito in cerca del toro, fuggito terrorizzato durante l' uragano. Consolai i due poveretti con qualche moneta e volsi infine i miei passi verso valle, raggiungendo la pineta, dove più di un albero era stato schiantato o sradicato. Arrivato sulla carrozzabile, affrettai il passo verso il pittoresco paesello di Peccia, e, dopo una notte di riposo, rientrai nel piccolo regno delle miserie umane, rievocando le profonde sensazioni provate e col fermo proposito di ritornare presto fra gli inesauribili incanti dell' alpe, fonte perenne di sani godimenti e di alta elevazione del mio spirito irrequieto.

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