Guido Rey non è morto
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Guido Rey non è morto

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DI FRANCESCO CAVAZZANI, MILANO

II viso affusolato e longilineo; una calvizie attorniata da una corona di capelli un tempo biondi ed ora parzialmente bianchi; baffi dello stesso colore tagliati a spazzola; nel viso due occhi cerulei di una tinta a smalto, indimenticabili per la loro accorata e tuttavia sorridente mestizia. Una giacca chiusa fino al collo, con tasche esterne, quali usano i colonnelli ed i generali a riposo. Tale mi apparve per la prima volta e tale ricordo Guido Rey. Nulla aveva di militaresco, piuttosto un certo non so che denunciava la vigorìa, lo slancio, l' elasticità di un tempo.

A vederlo entrare nella minuscola chiesetta del Breuil ( dove l' aria era torpida per le troppe persone pigiate in ristretto spazio ), a vederne l' atteggiamento fervido subito si avvertiva una delle sue doti, forse la più profonda e radicata: la fede. Guido Rey, credente, credeva nei valori della montagna: « Io credo la lotta col monte nobile come un' arte, utile come il lavoro, bella come la fede. » Non la vanagloria, non la ricerca della notorietà, non l' esibisionismo lo sospingevano, ma la fede nell' alpinismo, rivelatore di recondite e insospettate energie dell' animo; ma la passione per la montagna « sorgente purissima di salute fisicae morale », « scuola di pazienza, di tolleranza, di fedeltà » atta a rendere l' uomo capace di alti propositi, atta ad eccitare l' entusiasmo verso le bellezze naturali.

Certi colleghi negavano a Guido Rey un posto preminente tra gli alpinisti; gli addossavano la colpa di aver compiuto le sue imprese con guide quando già si era diffuso l' alpinismo senza guide; di aver rallentato lo sviluppo e l' evoluzione dell' alpinismo italiano mentre oltr' alpe si erano affermati Mummery, Preuss, Winkler, Lammer e via dicendo. Ricordo animate e vivaci discussioni nel corso delle quali denunciavo il loro evidente errore: le più clamorose imprese sui monti ( condotte con o senza guide ) sembrano disperate e pazzesche nel momento in cui sono concepite ed attuate, tuttavia restano inesorabilmente sorpassate e messe in ombra, in epoca successiva, da ben più difficili imprese consentite dal progresso della tecnica. Ogni ascensione ha un fatale ciclo discendente: comincia all' insegna del difficilissimo, passa alla qualifica difficile, decade al mediocremente difficile, al normale.

Inoltre anche sul piano tecnico l' apprezzamento era ingiusto: Guido Rey non fu certamente un mediocre perché imprese come quelle della Punta Bianca, della parete est del Rosa, degli strapiombi di Furggen, del Grépon, delle Torri del Vajolet, della sud della Marmolada rappresentavano il limite massimo dell' epoca. Del resto da giovane Guido Rey aveva progettato un' ascensione veramente insolita e cioè quella del Cervino senza guide. Ma suo fratello Mario cadde e morì nei pressi del colle del Gigante e da allora ( 1885 ) Rey abbandonò l' idea delle ascensioni senza guida e soltanto raramente si accompagnò con amici. A valutare la sua capacità basta un episodio: quando il giovane suo compagno Ugo De Amicis non riuscì a superare il « passo Winkler » che apre l' accesso alla omonima torre del Vajolet, l' anziano Rey passò in testa e la difficoltà fu scavalcata.

Ma tutto questo conta poco; il ricordo di Guido Rey non si affida soltanto alle sue scalate; più s' allontana nel tempo e più la sua figura s' accende perché la sua opera letteraria è ben altrimenti duratura che non la gloriuzza sportiva.

Come mai l' opera di Guido Rey supera quella di ogni altro scrittore di montagna, come mai si mantiene viva, fresca, palpitante quasi il trascorrere degli anni non l' abbia scalfita? Non per il contenuto di cronaca alpina, destinato a scolorire come si è detto; ma per il contenuto di umana verità e di poesia.

Sua zia, Clotilde, aveva sposato Quintino Sella ed il fondatore del Club Alpino Italiano amava circondarsi di una fitta schiera di ragazzi ( figli e nipoti ) che egli conduceva in montagna. Si dica pure che questi giovani ebbero l' ausilio prezioso del grande Quintino il quale durante le escursioni am-maestrava i discepoli sottolineando una bellezza panoramica, una roccia rara, determinati particolari geografici o geologici. Egli poi pretendeva - al ritorno - che ognuno scrivesse una relazione sulla giornata e sulle impressioni riportate.

Ma non questo fu il decisivo elemento formatore, tanto che Alessandro e Vittorio Sella, figli di Quintino ed alpinisti fortissimi, scarsa dimestichezza ebbero con la penna e ben poco scrissero sulle loro imprese. Per alcuni l' essere abituati fin da ragazzi a frequentare la montagna, crea una consuetudine e li disavvezza dall' ammirare e dall' entusiasmarsi per spettacoli ai quali hanno fatto l' occhio da tempo.

Se però il seme sia gettato in un terreno fertile darà frutti copiosi. Precisamente questo è avvenuto per Guido Rey, perché già esisteva in lui quel complesso di sentimenti che poi ritroveremo nelle sue opere.

Si è detto dell' umana verità, la quale comprende la gentilezza d' animo, la semplicità, la visione dei sentimenti che si agitano nel nostro animo e di quanti ci stanno vicini. È proprio degli esseri superiori non far pesare la loro superiorità: Guido Rey metteva a suo agio chiunque lo avvicinasse e per tutti sapeva trovare non solo la parola gentile, ma la più indicata. Basterebbe ricordare l' episodio narrato da Wyss-Dunant: quando egli si accomiatò da Rey dopo averlo informato che intendeva compiere la traversata del Cervino da solo, si sentì dire: « Quando sarete alla scala guardate giù verso la mia casetta; allora vi porgerò l' ultimo saluto. » Wyss-Dunant rimase sorpreso, pensò ad un saluto del tutto simbolico, tuttavia quando giunse a metà della scala si arrestò e, tenendosi con una mano afferrato ad uno dei pioli di legno, con l' altra sventolò il suo fazzoletto. Vide allora dalla villa Rey scintillare la luce del sole raccolta su un vetro: evidentemente Rey aveva seguito l' ascensione al canocchiale, aveva notato quel festoso sventolìo ed ora lo ricambiava porgendogli il promesso ultimo saluto.

Quando, nella descrizione dell' ascensione alla cresta Vofréde, Guido Rey si attarda a parlare del piccolo portatore quindicenne estatico di fronte alla qualità dei cibi che vede uscire dai sacchi e che rappresentano per lui un mai saziato desiderio, non dimostra forse il suo profondo umanesimo? E non ribadisce lo squisito sentire del suo animo, la compassione per il camoscio tenuto prigioniero a Prarayè di cui intuisce la sofferenza per la privazione dei vasti orizzonti e delle molteplici vette che soltanto la libertà sconfinata gli permette raggiungere?

L' opera di Guido Rey è viva perché rappresenta un perfetto connubio del binomio arte-alpinismo. Egli, che profondamente sentiva il fascino ed il richiamo del bello, considerava la scalata quale una creazione artistica.

I postumi di una pericolosa operazione al cranio costrinsero Guido Rey a sospendere la sua attività alpinistica per alcuni anni ( 1902-1904 ). Corrispondentemente cessò anche la sua attività letteraria perché confessava: « Occorre che io faccia delle nuove salite senza le quali non so scrivere. » Qui sta il segreto dell' arte di Rey: la perfetta rispondenza tra la penna che scrive e la piccozza che gradina: emozioni, entusiasmi, dubbi, certezze derivano da eventi veritieri, profondamente sentiti e vissuti.

Artisti quali Cesare Tallone, Edoardo Rubino, il Bistolfi, il Calandra, il Delleani erano tra i suoi amici; fraterni erano i rapporti con Edmondo De Amicis, che doveva scrivere la prefazione alla sua opera fondamentale « Il Monte Cervino »; continui erano i contatti con Giacosa e con Albert Gos, quasi filiali quelli con Vaccarone, cordialissimi quelli col Duca degli Abruzzi.

Del suo epistolario con Blanchet ho già parlato altra volta su questa rivista 1. La corrispondenza con Charles Gos divenne attiva particolarmente nel 1907, l' anno in cui la progettata ferrovia al Cervino minacciava di tradursi in realtà. Guido Rey levò il suo grido di dolore, indirizzandolo a Charles Gos, che egli aveva conosciuto a Montanvers all' epoca delle ascensioni al Drus ed al Grépon; il Gos coordinò tutte le proteste, si mise in corrispondenza con Whymper, con l' abate Gorret e provocò una petizione popolare: il progetto rimase insabbiato.

Esattamente disse il De Amicis: « Nell' alpinista v' è il poeta, il pensatore, il cittadino, un cuore aperto a tutti i sentimenti gentili, una mente curiosa d' ogni scienza, un osservatore che sulla montagna vede lontano e intorno a sé e dentro a sé medesimo mille cose che i più non vedono, e di cui egli fa nutrimento al proprio intelletto e materia viva e luminosa al pensiero altrui. » Ecco perché Guido Rey assurge ad un livello non toccato da alcun scrittore d' alpinismo. Nelle sue opere l' inno alla montagna è venato da un sentimento delicato che gli vale a ragione la qualifica di « poeta ».

Guido Rey aveva compreso che dal diffondersi dell' alpinismo sarebbero derivati una diminuzione, un avvilimento della montagna che era oggetto del suo intenso amore. Quintino Sella aveva scritto « L' excelsior che abbiamo posto sulla bandiera è sopratutto un emblema morale; imperocché senza un movente morale neppure le montagne si ascenderebbero. » Molti anni dopo Guido Rey affer-mava: « Cerco di esaltare l' alpinismo nella parte che ha di più nobile e di più virile; ginnastica si, ma ginnastica dell' intelletto e dell' animo; senza di ciò noi non faremmo onore ai grandi che primi ci insegnarono ad amare questo ideale2. » Tale essendo il suo pensiero, quando in Agostino Ferrari sorse l' idea di formare il Gruppo Italiano Scrittori di Montagna ( G. I. S. M. ), Rey volle esserne tra i fondatori, in quanto riteneva spet-tasse proprio agli scrittori il compito di alimentare e diffondere la fiamma alla quale Egli si era riscaldato e di mantenere integro il valore spirituale della montagna. Valore che Egli riaffermò riassumendo l' emozione dell' alpinista nel momento culminante dell' ascensione, nel momento cioè in cui raggiunge la vetta: « Colà dove gli altri credono che sia la fine del mondo abitabile, gli alpinisti trovano le porte di una meravigliosa regione, piena di visioni incantevoli, in cui le ore passano come minuti, i giorni sono lunghi e pieni come un anno; al di là di quelle porte essi non recano che la parte migliore di loro stessi, epperò quella vita loro appare più bella e più pura. » Io non so attraverso quali vicende, se prevalentemente liete o sfortunate, se prevalentemente favorevoli o contrarie, sia trascorsa l' esistenza di Guido Rey. Nelle sue lettere egli manifesta piuttosto un temperamento incline allo sconforto, alla tristezza: con frequenza ricorrono frasi nelle quali lamenta le avversità della vita ed augura a sé ed agli amici giorni migliori.

Su questo temperamento la montagna esercita un sorprendente potere ed ecco l' uomo serio e piuttosto malinconico trasformarsi in scapigliato ragazzo. Al Breuil esisteva allora soltanto l' alber del Giomein nel quale, console Peraldo, convenivano personalità della politica e dell' arte, alpinisti italiani e stranieri; a costoro si mescolava audacemente gente d' ogni risma e d' ogni foggia che di montagna nulla sapeva e si recava lassù soltanto per dar prova di originalità e di ricchezza.

È di tutti i tempi il contrasto tra gl' innamorati sinceri ed i Tartarin della montagna, tra gli scalatori autentici e quelli che di scalatori possiedono soltanto il vestito impeccabile, tra i credenti 1 Les Alpes. I,1957; 1,1958.

2 Boll. CAI, 1946, 87.

nella religione dell' Alpe ed i filistei che tramutano il tempio in mercato. Questo contrasto diventa più appariscente quando persone così disparate si trovano sotto un unico tetto che li ospita transi-toriamente costringendoli ad una vita in comune. Gandolin, Arrigo Boito, un tenore celebre il De Marchi, Giacosa, Matilde Serao, Edmondo De Amicis, il presidente della Camera dei deputati Giuseppe Biancardi, qualche senatore, lo scultore Rubino formavano un mondo unico al quale si inframmezzavano alpinisti famosi quali Tedoro Wundt e Guido Rey; un mondo che, pur avendo bandito dall' albergo - per votazione di maggioranza - il pianoforte, non si lasciava soverchiare dalla noia.

Rubino imitava in falsetto le canzonettiste francesi con tale perfezione da trarre in inganno chi ne udiva la voce senza vederlo; un magistrato era specialista nell' imitazione di Ferra villa; un avvocato, traendo da una squadra di ragazzi all' uopo istruita, imputato, giudici e testimoni, paro-diava i dibattimenti penali con perfetta alterazione della verità come realmente accade nelle aule giudiziarie. Si giocava a mosca cieca; si ballava il girotondo, si eseguivano sedute spiritiche durante le quali la richiesta di far piovere avanzata da un furbone veniva tosto esaudita da un complice mediante copiose spruzzate di selz sugli astanti.

Ebbene: ve lo sareste immaginato Guido Rey partecipare attivamente a questi scherzi? Vi pare di vederlo imboccare un inaffiatoio a guisa di tromba e, coadiuvato da Rubino, imitare la banda della fiera o del circo equestre con le laceranti stonature, le pause improvvise, le riprese saltellanti?

Inglesi irreprensibili e legnosi tedeschi non riuscivano a dissimulare una profonda stupefazione di fronte a questo sfrenato carnevale. Quando uno di codesti stranieri scansò Guido Rey guardando con profonda diffidenza quello strano strumento a fiato mai veduto, portò al parossismo l' incon ilarità della brigata.

Come l' ambiente montano lo esalta, così la sua mancanza lo deprime e lo accascia. Quando, come s' è detto, fu costretto ad abbandonarlo temporaneamente ( 1902-1904 ) manifestò all' amico Ghisi questi sentimenti: « T' immagini l' animo mio? Ho dovuto rinunciare a molte mie occupazioni, ho rinunciato ai monti - spero non per sempre - ed ora sento doppiamente la privazione di non poter accettare il vostro invito. Non soggiungo altro perché, per quanto io mi faccia coraggio, l' animo mio è triste di questa sospensione forzata della mia vita e de' miei desideri. » Un incidente toccatogli durante la guerra 1915-1918 lo privò nuovamente delle sue forze, né alla sua età era facile riprenderle. Ne ebbe un grave dolore e confidò nuovamente al Ghisi:

« Sono malato per un incidente che mi è toccato in zona di guerra quando ero in servizio della Croce Rossa e credo di non poter guarire. Tieni tutto per te solo questa confessione. Non mi fa paura il dolore fisico ma mi rattrista il non poter proseguire nel mio lavoro sereno che avrei potuto ancora dare all' alpinismo, ultimo sogno, ideale costante della mia modesta vita.

Mi confesso a te perché il tuo largo cuore che fu aperto per la mia amicizia nei tempi lieti ha ancora del posto per le mie pene.

E, dopo tutto, la religione delle amicizie e quella delle Alpi mi danno ancora e fino a tanto che io viva il più puro godimento, e nessun male lo può distruggere. » La rinuncia alla montagna divenne purtroppo definitiva, ma Guido Rey conservò la sua fede intatta: « Il sogno passato vive ancora nell' anima ed allieta questo tramonto della vita, non più confortato dalla facoltà di lavoro e di moto che altre volte mi diedero gioie indicibili. Oggi, in questa solitudine, vedo chiaro di quanto bene possano essere cagione le Alpi nell' esistenza, benché umile, dell' uomo, ed auguro con fede immutata che esse rechino ai giovani altrettanto bene. » Tutto ciò sembra essere avvenuto ieri ed è invece ben distante nel tempo. Dalla nascita di Guido Rey ( 20 novembre 1861 in Torino ) è già trascorso un secolo!

Nella ricorrenza di codesto centenario le guide di Cervinia si sono ricordate del loro « poeta » ed hanno voluto onorarlo intitolando a lui la maggior piazza del paese con una cerimonia semplice alla quale hanno partecipato, oltre alle autorità locali, gli esponenti di molti sodalizi alpini ed in modo particolare il Gruppo Scrittori di Montagna ( G.I.S.M. ).

Poco importa se il Breuil non è più quello d' un tempo, se l' attuale Cervinia - bailamme di costruzioni moderne, sparpagliate, astruse ed illogiche - abbia distrutto il misticismo e la serenità d' un ineguagliabile tempio alpino; poco importa se molta gente, passando frettolosa per avviarsi alla funivia, abbia appena degnato d' uno sguardo distratto i labari delle associazioni ed il corteo che dalla chiesa muoveva verso la stele dove il « poeta » appare con lo sguardo maschio rivolto al « suo » Cervino; poco importa se, conosciuto il motivo che aveva riunito quella piccola folla, abbia mormorato con stupore: Guido Rey? dimostrando di ignorare questo nome.

Non per costoro lo spirito di Guido Rey aleggiava quel giorno attorno alla casa che fu già sua dimora e attorno alla mole granitica del gran monte da lui prediletto ed amato; non per costoro egli era là, ma per il richiamo d' amore delle « sue » guide che avevano rappresentato la sua vera famiglia ed alle quali aveva dato il suo affetto. Ecco come le descrive durante la messa domenicale: « Le mie guide s' inginocchiarono, scoprendosi il capo. Era sopraggiunta la giovane sposa di uno d' essi, venuta su da Crépin per salutarlo, e pregava accanto a lui. Guardavo alternativamente quel gruppo e il Cervino che s' innalzava sul capo dei preganti: regnava fra questi e il monte una profonda corrispondenza. » Quando gli capitò di affrontare le avversità della montagna e di correre seri pericoli, in quale luce vide questi uomini?

« Mi sentivo in quell' ora il compagno delle mie guide, non il loro viaggiatore. Quando l' uomo fiuta il rischio, diventa uomo per davvero con quanto esso ha di più primitivamente bello e valente; coraggioso come un piccolo animale che difende la sua vita da un mostro cento volte più grande e più forte di lui; impassibile come doveva essere il primo uomo che traeva la vita fra le difficoltà della natura, alla guisa delle fiere, che soffriva e godeva, ma forse non piangeva, né rideva ancora. » Quante volte, durante la giornata, andava a sedersi sul banco di lavoro, sotto la tettoia a fianco della villa, ed amava trattenersi con Ange e Baptiste Maquignaz! Tema dei loro discorsi era sempre la montagna; ed ancora, dopo la cena frugale e prima di coricarsi, le guide formavano il piccolo crocchio attorno al poeta cui solo in tal modo sembrava intonarsi al mondo alpestre che lo circondava.

Era giusto dunque che proprio i discendenti da queste guide ricordassero il loro « poeta » e gli dimostrassero aver compreso che egli aveva fatto loro un dono che non si può acquistare in nessun luogo ed a nessun prezzo: perché egli aveva fatto a loro il dono del suo cuore.

In occasione della morte di un insigne alpinista - Pippo Vigoni - Guido Rey aveva scritto queste parole: « Noi che apparteniamo alla vecchia generazione sentiamo profondamente la scomparsa di quelli che ci furono compagni negli ideali e nelle lotte alpine, ma ai nuovi giovani queste belle figure che se ne vanno rivolgono ancora uno sguardo che è di ammonimento e di fede e, benché scomparse, rimangono esempio di virtù, di prudenza, di bontà. » Oggi ai giovani si può rivolgere proprio questo vaticinio: sappiano comprendere l' ammonimento di virtù, prudenza e bontà che promana dall' opera gigantesca di Guido Rey.

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